17 Re, tra caos e ribellione: l’album n.2 dei Litfiba

Copertina dell'album 17 Re, il secondo album dei Litfiba e de La Trilogia del Potere.

Un piccolo excursus

Prima di parlare di 17 Re, secondo album dei Litfiba e protagonista di questo capitolo, mentre andiamo a prendere la bottiglia di Brunello di Montalcino e avviamo la playlist di Spotify, a chi vi scrive è venuto in mente un ricordo che val la pena essere raccontato. Durante quella gita a Firenze in occasione del Firenze Rock Festival, eravamo entrati in una taverna che serviva soltanto crostoni con fegatini, lampredotto e pasta. L’oste era un incrocio tra un lupo e un orso, con una parlata fortemente toscana e che usciva a fatica dalla bocca. Bassa, roca, toscana. Incomprensibile.

Noi invece eravamo abbastanza euforici, alticci e affamati, mentre in sottofondo una playlist di artisti da osteria, ci teneva compagnia a volume parecchio alto. Tra il vino, la musica, la fame, e soprattutto il forte accento dell’oste, chi vi scrive faceva veramente fatica a capire ogni singola frase che l’uomo pronunciava.

Dopo qualche “non ho capito, può ripetere?”, “come scusi?”, scossa del capo, scelte a caso pur di prendere qualcosa e qualche battuta al tavolo tra di noi, chi vi scrive venne raggiunto da una mano famosa che era nel tavolo a fianco, all’improvviso: “I toscani hanno devastato questo paese”. Ci girammo tutti e quattro verso quel braccio e riconosciuto il volto rimanemmo per qualche secondo impietriti. Un paio di persone del cast di Boris erano a Firenze per la stessa ragione.

Tra un fegatino e l’altro cercammo il modo di avvicinarci e a fine pasto provammo l’approccio. Finì male, a parte un paio di foto. Avevano fretta di ripartire per Roma, mentre noi al caffé aggiungemmo un paio di grappe niente male.

Chiuso questo mini prologo, proiettiamoci in un nuovo viaggio. Sempre in compagnia dei Litfiba, ma questa volta del loro secondo album: 17 Re.

17 Re, in una parola: Energia

In questo nuovo viaggio, in senso stretto, ci ritroviamo di nuovo sulla strada per Firenze. E quale occasione migliore per rispolverare un album tra i migliori 100 della storia del rock in Italia? Un album a detta di molti considerato tra i migliori della carriera dei Litfiba? Un album caotico, sregolato, anarchico, ribelle?

Questa volta il nostro viaggio ci porta alla scoperta di 17 Re, secondo album della band toscana che nel 1986 dà seguito al primo Desaparecido. Si tratta del secondo capitolo della Trilogia del Potere, che vedrà il suo culmine in Litfiba 3, e che qui in 17 Re si esprime nel modo più caotico, potente, sanguigno, ribelle e fiero della sua essenza, smorfioso e confuso. Tenetevi forte.

Tappa ristoro, il solito Brunello

Bottiglia di Brunello di Montalcino
Bottiglia di Brunello di Montalcino.

Eh si, come sempre ci vuole un po’ di compagnia e in questa storia riprendiamo la buona abitudine di un bicchiere di Brunello. Vabbè, qualche bicchiere. Se avete voglia di saperne di più qui trovate la scheda tecnica.

Com’è buono il Brunello di Montalcino! In quell’osteria, ne bevemmo un paio di bottiglie e, come detto, anche l’alcol non contribuiva a capire le parole dell’oste che alla fine del pranzo era sfinito di noi tanto quanto noi del suo modo incomprensibile di parlare. Quel vino però era maledettamente buono. Così tanto che ne chiedemmo il nome. O meglio chiedemmo di scrivercelo su un pezzetto di carta. Sublime.

Completata la tappa ristoro, come nelle migliori esperienze dell’Eroica, ci mettiamo in moto per il nostro viaggio alla scoperta di 17 Re, appunto secondo capitolo della Trilogia del Potere dei Litfiba.

Riprendiamo: 1986, tante cose più Černobyl

L’anno di pubblicazione è il 1986, quello dei Mondiali in Messico, del disastro di Černobyl, del Maxiprocesso di Palermo, del primo numero di Dylan Dog e dell’ingresso di Dennis Rodman in Nba, alla seconda chiamata di quel draft (n. 27).

Il mondo intero, occidentale e comunista, di fronte all’esplosione del reattore di Černobyl si scopre nudo. Nessun padrone può dirsi a quel punto veramente al sicuro dall’errore umano, le cui conseguenze a quel punto, sono di livello planetario.

Con la Perestrojka già in atto, il colpo sofferto dall’URSS è devastante. Ormai è chiaro, soprattutto a distanza di anni, chi sarà il vincitore alla distanza. Resta semmai da capire quando arriverà il traguardo. Ma non c’è solo questo. Il disastro di Černobyl’ è ritenuto infatti il più grande incidente nella storia dell’energia nucleare, con il grado più alto di catastroficità insieme a quello di Fukushima del 2011. Solo per dare un’idea.

Prendendo “paro paro” da Wikipedia, “Una nuvola di materiale radioattivo fuoriuscì dal reattore numero 4 e ricadde su vaste aree intorno alla centrale, contaminandole pesantemente. Gli incendi delle strutture ebbero effetti catastrofici di contaminazione atmosferica. I vigili del fuoco dalle vicine stazioni di Pryp”jat’ e Černobyl’, prontamente intervenuti, domarono gli incendi, ma non poterono comunque spegnere il nocciolo e bloccare completamente l’emissione radioattiva; pertanto le autorità, nei giorni successivi, utilizzarono elicotteri militari per coprire il nocciolo con sabbia e boro. Di fronte alla gravità estrema dei livelli di contaminazione dei territori circostanti fu ordinata l’evacuazione di circa 336 000 persone e, in seguito, il loro reinsediamento in altre zone.

Le autorità sovietiche all’inizio non divulgarono la notizia, ma dovettero ammettere l’incidente dopo alcuni giorni, quando l’aumento anomalo delle radiazioni atmosferiche fu rilevato in Svezia e la notizia si diffuse a livello internazionale. Vi furono pesanti conseguenze politiche, sia internazionali sia interne, per la credibilità e il prestigio tecnico-scientifico dell’Unione Sovietica. Le nubi radioattive raggiunsero in pochi giorni anche l’Europa orientale, la Finlandia e la Scandinavia, toccando, con livelli di radioattività inferiori, anche l’Italia, la Francia, la Germania, la Svizzera, l’Austria e la penisola balcanica, fino a porzioni della costa orientale del Nord America, provocando un allarme generale e grandi polemiche.”1

Le tensioni e la preoccupazione, una sensazione di incertezza della propria salute, con i telegiornali che invitano ad andare in montagna e alla ricerca di aria salubre, sembrano tenebre all’orizzonte. In Italia, le preoccupazioni sul nucleare manifestate già qualche anni prima, qui toccano l’apice, portando al referendum del 1987, in cui oltre ad altre questioni, si vota – in soldoni – per lo stop al nucleare.

L’album 17 Re

Che il disastro abbia influito sull’album è certo, così come è certo il suo carattere cupo, ribelle, tenebroso, quasi come un suo riflesso. Una necessità di aria. Il nome deriva dalla traccia, la n. 17 e intitolata appunto Re che all’ultimo viene esclusa dall’elenco di quelle definitive, perchè non convince a pieno.

L’album si allontana in parte dalla new wave del precedente, aprendosi a melodie e ritmi leggermente più orientati verso il rock. Le tastiere di Aiazzi hanno comunque un peso specifico importante nella fisionomia delle composizioni, mentre la chitarra di Ghigo fornisce la giusta dose di energia. Permangono però sullo sfondo i richiami di musiche orientali, mediterranee, tzigane, spagnoleggianti.

A livello di contenuti, 17 Re dei Litfiba si compone di un mix di sensazioni altalenanti, costantemente in bilico tra rabbia, sentimento, poesia, denuncia e rabbia sociale, attraverso l’evocativa voce di Pelù, accompagnata da musiche pungenti, che flirtano con il rock, con il punk, con la new wave, con il pop. I testi continuano a essere ambigui, allucinati, onirici, arrabbiati come in Desaparecido, anche se meno ermetici e destrutturati.

Come lo stesso Pelù afferma in un’intervista a 30 anni dalla sua pubblicazione:

“Il disco è stato un ‘legante’. Non è un caso che si ponga tra Desaparecido, l’album più new wave, dal punto di vista artistico e musicale, e Litfiba 3, la porta che si è aperta verso i nostri anni 90 e verso la virata più rock. Dentro 17 Re c’è tutto: dalla psichedelica al punk, passando per la new wave, le canzoni più cantautorali e anche le ballate più melodiche. C’era dentro davvero tanto stile, soprattutto del periodo artistico che stavamo vivendo. Dal 1983 avevamo cominciato a girare in tour in Francia. Il fatto di suonare all’estero è stato davvero un valore aggiunto, avevamo la fortuna di suonare nei festival, soprattutto in quelli, dove ci potevamo confrontare con musicisti provenienti da tutta Europa e dal Mondo. Questo significa che tutte queste influenze sono confluite per la prima volta in un nostro album che abbiamo composto, tra l’altro, in un periodo relativamente molto breve. Componemmo la bellezza di molto più di quelle canzoni, 16, che poi finirono sulle quattro facciate del disco, ognuna con la propria ragione di esistere. Un’impresa artisticamente molto impegnativa anche dal punto di vista della scrittura dei testi”2.

Chi conosce l’album nota per nota non può che essere d’accordo con l’analisi del creatore. Ma per chi non ne fosse domestico, beh, quest’album è davvero in grado di includere tutti questi stili e di riprendere i discorsi di Desaparecido e cucirli coi successivi di Litfiba 3.

Se la Trilogia del Potere è dalla maggior parte dei critici considerato il periodo migliore nella carriera della band toscana, 17 Re è allo stesso tempo ritenuto il punto più alto. Brani come Pierrot e la luna, Apapaia, Re del silenzio, Cane sono alcuni degli snodi essenziali.3. Se volessimo racchiudere in un’immagine l’intero album potremmo forse utilizzare un passaggio contenuto in Resta, traccia di apertura di 17 Re, e commentato da Ghigo Renzulli:

“Nel brano c’è una frase che dice: «Mi hai legato in una scatola con il corpo da scorpione». Quella frase fu ispirata da un avvenimento che mi era successo nella cantina di via de’ Bardi. Avevo trovato uno scorpione e usando dei grossi guanti lo avevo catturato. Mi dispiaceva ucciderlo e ancora non avevo deciso che farne. Così presi una grossa scatola dei fiammiferi e ce lo chiusi dentro, e momentaneamente mi dimenticai dell’insetto. Il giorno dopo me ne ricordai e riaprii la scatola. Rimasi a bocca aperta… si era suicidato. Si era infilato il pungiglione del veleno nella schiena. Aveva preferito morire piuttosto che stare rinchiuso in una gabbia.”4

Ecco, questo senso di insofferenza e ribellione, di lotta, fino al gesto estremo, di fuga e vendetta. È questo, secondo chi scrive, il legame tra i brani di quest’album. Versiamo un po’ da bere e scopriamole una a una.

Le tracce di 17 Re

Addentriamoci allora tra i brani del secondo capitolo della saga di questa band toscana, questo 17 Re che presenta delle vere e proprie gemme: d’altra parte, parliamo sempre dei Litfiba.

1. Resta

L’album si apre con Resta, brano con una linea di batteria molto presente e dall’impeto punk, con una melodia new wave tracciata dalle tastiere. I riff di chitarra sono vere e proprie scariche elettriche improvvise, come tuoni nel temporale. Un mix di influenze ben equilibrato e potente, così come le parole.

Dicevamo di Černobyl. Resta è per stessa dichiarazione dei Litfiba un brano ispirato a quell’incidente, avvenuto il 26 aprile 1986 nei pressi della cittadina ucraina appartenente all’Unione Sovietica. Il testo è magistralmente sconvolgente e si incastra alla perfezione con la potenza musicale sprigionata dal gruppo.

Il protagonista, pur trovandosi lontano dall’incidente viene raggiunto dalla nube tossica, come di fatto accadde (se ve lo foste persi, sta in alto) e dalle piogge acide. Il mondo intorno cambia, così come la pelle del protagonista, lasciando la parte finale del brano al grido lacerato e inerme: “Resta una parte di me, quella più vicina al nulla“.

2. Re del silenzio

In Re del silenzio ci spostiamo dai temi affrontati fino a ora da Desaparecido. Il brano è infatti incentrato sulla fine della relazione tra due partner e la successiva fase depressiva per uno dei due. La canzone è un caposaldo della carriera del gruppo toscano, così come della musica post punk e punk wave italiana.

Musicalmente il brano riprende in parte Resta, con una batteria sempre marcata ma meno frenetica. Allo stesso modo le tastiere descrivono un’atmosfera onirica, notturna, guardinga, tracciando la melodia principale interrotta da qualche passaggio di chitarra fulmineo. Nella parte finale si intravede il peso destinato all’assolo di chitarra che, all’interno della produzione dei Litfiba, acquisterà sempre più peso nei successivi lavori.

Il testo si compone in sostanza di due parti, la prima legata alla fine di rapporto amoroso, la seconda sulle successive conseguenze. L’apertura è destinata all’incontro tra i due, in un’atmosfera di desolazione rappresentata da un muro di silenzio e incomunicabilità che li divide. La successiva si concentra sulla disperazione nichilistica della fine del rapporto, dell’aridità a causa della disillusione. E del successivo senso di perdizione, isolamento, soffocamento, vuoto interiore.

3. Cafè, Mexcal e Rosita

Il passaggio successivo di 17 Re è Cafè, Mexcal e Rosita, brano, folle, incosciente, alcolico, disperato, ma forse – aggiunge chi vi scrive – necessario. Come i precedenti, anche questo brano diventerà successivamente un pezzo presente nei live, così come nei repertori della band.

La batteria questa volta “tira un po’ il fiato” e cede il passo alle tastiere, qui al centro della scena costantemente e alla chitarra, meno irrequieta e decisamente virtuosa. Aiazzi e Ghigo qui mettono in mostra ciascuno il proprio bagaglio tecnico, incrociandosi senza mai sovrapporsi, e dando vita a un’equilibrata follia.

Il testo si riferisce a Rosita, al cafè e al mezcal, scoperto da Pelù e soci in un viaggio in Messico. Il protagonista è alla ricerca di Rosita, scappata via, “oltre il vetro, oltre la mia testa”, ma che sente ancora nell’aria, nelle sue mani. Ma una ricerca reale o semplicemente nella testa del protagonista sotto gli effetti del mescal? Senza pretesa di verità, per chi vi scrive si tratta di un rifugio del protagonista, un ristoro nei “piaceri” più carnali, necessari – a volte – alle conseguenze delle disillusioni provate in Re del silenzio.

4. Vendette

Una delle canzoni più poetiche e ribelli dell’intero album, dal forte significato simbolico e metaforico, Vendette. Qui, come anche altrove, il bersaglio è Dio e la sua rappresentazione attraverso la dottrina – o forse le dottrine? – religiosa, in particolare quella cristiana.

È un Dio è distratto, è altro rispetto alle vicende terrene, è altro rispetto a quanto indica la Chiesa. Un Dio superficiale che gioca con gli elementi e che si scorda di ciò che accade ai suoi “figli”, senza porvi alcun rimedio. C’è scontentezza, voglia di rivalsa, ironia, ribellione, disillusione nella voce di Pelù. Molto presenti le evocazioni di immagini naturali che mettono in evidenza la temporalità dell’esistenza ed essenza umana. Proprio Pelù in un’intervista ricorda che:

“In due canzoni di 17 Re, parlo di Dio e delle sue amnesie, o meglio, delle storture della Chiesa nel diffondere il messaggio evangelico. Due attacchi alla gestione della Chiesa e non, come è stato scritto, alla religione. Il primo è contenuto in Vendette“. A livello musicale il brano è caratterizzato da sonorità rock incisive e ritmi energici, che accompagnano testi evocativi e carichi di emozione.

Il brano si apre con un arpeggio di chitarra elegante, prima di accompagnarsi al resto degli strumenti e alla voce di Pelù che, come nelle successive Pierrot e la Luna e Tango, si fa lirica, sinuosa, ammiccante, ma al tempo stesso potente. A eccezione di Pierrot e la Luna, Vendette e Tango il testo è diretto e, seppure con qualche metafora un po’ allucinata, non ammette dubbi.

5. Pierrot e la Luna

Altro brano decisamente simbolico di 17 Re è il quinto, Pierrot e la Luna, presente nei successivi Tour e negli album live. La canzone si rifà direttamente alle musiche del compositore viennese Arnold Schönberg e del suo Pierrot Lunaire, che trae spunto dalla poesia del belga Albert Giraud.

Non solo. Pierrot è anche e soprattutto una maschera della commedia, un personaggio comparso intorno al Seicento e che da allora è sopravvissuto a tutte le epoche, giungendo al Novecento attraverso opere teatrali, musicali, commedie e il cinema muto.

Anche se la sua prima stesura lo voglia anche scaltro e furbo, Pierrot è un personaggio malinconico, sognatore, idealista, innamorato della luna, ingenuo e, a seconda dalle interpretazioni, più o meno allucinato. E quello dei Litfiba non è da meno, rimanendo così abbagliato dalla luna, nel ritornello, da rimanerne “contagiato”:

Bianca lebbra di luce / Che m’attacca nel buio / La mia pelle si spacca e non si forma più / Bianca squama di cielo / Che mi insegue nel buio / La mia pelle si spacca e non si forma più

Qui il riferimento sembra essere proprio il Pierrot Lunaire, che tenta di ripulire il proprio mantello da una macchia lunare. Il testo è tra i più ipnotici e astratti dell’intero album, così come l’accompagnamento musicale, calmo e onirico per diversi tratti, e d’improvviso frenetico e incalzante. Altro pezzaccio clamoroso di questo album in sé e per sé.

Qui non è il messaggio che la band vuole trasmettere. O almeno sicuramente non in prima battura, non sappiamo se a livelli di lettura più profondi si nascondano dei rimandi. Qui è il livello artistico a lasciare stupefatti. Roba che, per citare un aforisma contiano, “se si chiamasse Jaquerinho…”. Ecco, se si fossero chiamati “The Litfibes” sarebbero incastonati nella storia mondiale. E questa sarebbe una delle loro hit indiscusse. e l’album in generale, 17 Re dei Litfiba, avrebbe raggiunto cime ancor più alte.

6. Tango

Tango è un brano diretto, senza giri di parole ed è una protesta contro il servizio militare obbligatorio. Anche le musiche sono direttamente ispirate al tango: a un’analisi più attenta il brano, tra testo e musiche, sembra proprio essere influenzato dalle atmosfere argentine post dittatura, ancora autoritarie ma alla ricerca di svolte progressiste. Questa però è solo un’interpretazione di chi vi scrive, eh!

Qui la rabbia è legata all’abbandono da parte del protagonista della propria amata, per obbedire al comando, probabilmente di militari, di procedere all’arruolamento. Fuori imperversa la battaglia ma il protagonista vorrebbe solo ribellarsi alla guerra, al comando, all’autorità.

Chérie chérie / Volevo stare ancora / E vivere libero / Ma ogni guerra è santa / La mia vita è merda

E mentre l’unica possibilità per il protagonista è proprio di partire e lasciare la donna, in cuor suo cresce la rabbia per la costrizione a dover accettare una situazione simile. Come spesso succede in questi casi, la lotta è puramente interiore, mancando le possibilità di ribellione all’esterno. All’agente di polizia, all’arbitro, al militare col fucile bisogna stare attenti a come ci si rivolge. Sono suscettibili e hanno necessità di vedere confermata la propria autorità. Per cui resta solo lo sfogo interiore. E qui Pelù non è da meno, arrivando a non invidiare il proprio “nemico”, per la morte che lo attenderebbe.

7. Come un Dio

Arriviamo ora all’altra traccia che chiama in causa direttamente Dio, anche questa decisamente ermetica e dai mille significati, Come un Dio. Altra perla musicale. Il tono è delle parole è di impatto ma non chiaro e deciso. Le parole sono forti ma il significato non è immediato. È ambiguo, tra la solennità e l’ironia. Tra la sacralità e la bestemmia.

Dal punto di vista musicale, opinione di chi vi scrive, non è il brano migliore dell’album; il valore aggiunto va ricercato nel suo complesso. Se prendessimo le singole parti, forse, non sarebbe la canzone che è effettivamente, ma il testo unito all’accompagnamento musicale e agli effetti lo rendono di assoluto rilievo. A conferma di ciò, Come un Dio diventa subito punto fisso nelle scalette dei tour dei Litfiba, da 17 Re in poi. Guardate la performance che abbiamo trovato:

8. Febbre

Dopo Come un Dio è il momento di Febbre, ottava traccia che chiude la facciata B del primo disco. Qui, un po’ come Re del Silenzio, il tema principale è l’amore. Come per altri brani anche in Febbre è ricorrente l’uso degli elementi naturali come descrizione delle sensazioni percepite.

Musicalmente il brano si presenta come una reprise della vena wave tipica dei primissimi Litfiba, dell’Eneide di Krypton in poi. Tastiere e batteria elettronica sono i pilastri del brano, insieme alla voce di Pelù, confusa e convulsa.

Il testo, nuovamente ambiguo ed ermetico, sembra rappresentare lo stato delirante in cui si viene a trovare il protagonista. Un delirio che mischia gli elementi naturali, un’ambientazione cupa e fredda e il bisogno di guarigione.

9. Apapaia

Chiuso il disco A, passiamo al secondo che si apre con Apapaia. Il brano è scelto come seconda traccia, insieme a Tango, per l'”album” uscito in Francia per la promozione dei Litfiba di 17 Re. In Francia e a Parigi i Litfiba trascorrono molta degli anni 80, periodo che contribuisce alla crescita artistica, culturale e politica.

Apapaia può essere considerato uno dei simboli di quel soggiorno, insieme ad altri più o meno diretti, come Paname, contenuta in Litfiba 3. Al di là della Città dei Lumi, Apapaia è uno dei brani più importanti dell’intera carriera della band, in cui sono presenti tutti gli elementi essenziali.

Il titolo si riferisce alla papaia, il frutto dolce proveniente dall’America Centrale e, per ammissione della band, non ha nessuna attinenza con il brano. Che sia vero oppure no, il testo rimane uno dei capolavori assoluti della band e si riferisce alla difficoltà di cambiare e fare cambiare idea.

Anche perchè, qualche frase dopo, si avverte allo stesso tempo il bisogno di essere rispettati e di far rispettare le proprie idee. Un manifesto alla libertà, al rispetto di tutto e al rifiuto dei totalitarismi e delle dittature, magari travestite da democrazia. Il tutto condito dal solito astrattismo che caratterizza le opere della Trilogia del Potere.

10. Univers

Siamo alla decima traccia di 17 Re, Univers, altro brano astratto ed ermetico da Litfiba, caratterizzato in buona sostanza da due momenti. Il primo è quella della contemplazione privata, del ritiro in sé stessi e del viaggio compiuto dalla mente in libertà.

Qui la meditazione e lo stato di rilassatezza della mente fanno sì che si veda l’Univers. Il secondo si concentra sul desiderio di condividere il proprio stato di benessere con il partner, a cui si chiede di fidarsi e lasciarsi andare per raggiungere assieme uno stato di armonia interiore ed esteriore.

Le musiche contribuiscono a rafforzare l’atmosfera di viaggio metafisico e di contemplazione, con ritmi lenti e suoni dolci che costituiscono lo scheletro attorno cui si forma il brano. I due momenti descritti si ripetono e susseguono come una ninnananna ipnotica. Si tratta senza dubbio di un brano dai tanti livelli di interpretazione che lo rendono unico, rispetto ad altre tracce, magari, musicalmente più d’impatto.

11. Sulla Terra

Prima di procedere oltre concedeteci un attimo di sosta e un bicchiere di Brunello. Che fa sempre bene, all’animo e al fisico. Mens sana in corpore sano, dicevano gli antichi. E il Brunello è quel che ci vuole.

Sulla Terra è un brano cupo, tetro, angosciato e sofferto. Il significato del brano è rappresentato da una visione tragica e senza speranza dell’essere umano, in cui odio, avidità, cupidigia, prevaricazione e deriva sono i punti attorno si sviluppa tutto il contenuto.

La canzone si compone di due parti:

A livello musicale, il brano segue il mix delle tracce precedenti, con un ruolo di primo piano affidato alle tastiere e a un sound new wave, tipico dei Litfiba e di 17 Re.

12. Ballata

Con Ballata entriamo nell’ultimo quarto di 17 Re, con i Litfiba che si rivolgono al volo di Icaro, in uno dei brani più evocativi dell’intero album. Il gruppo si prende un turno di riposo dalla new wave e dal post punk, cimentandosi in ritmi più fluidi, leggeri, in cui la chitarra non è più tagliente e improvvisa come in Resta, anzi.

La mitologia greca e la storia di Icaro

Il brano si ispira alla storia di Icaro, il figlio di Dedalo, intrappolato nel labirinto del Minotauro, nella Creta del re Minosse. Figlio di Zeus, Minosse chiede a Poseidone un dono (un toro) da sacrificare, per risollevare l’apprezzamento popolare attorno a sé. Essendo il toro particolarmente bello, Minosse decide però di nasconderlo al dio e di salvarlo al sacrificio. Il re di Creta però non aveva fatto i conti con il Dio del Mare: infuriato per la mossa di Minosse, Poseidone fa innamorare la moglie Pasifae e regina di Creta del toro stesso. Per invogliare il toro viene così costruita una giovenca di legno dove si nascose la moglie in attesa dell’accoppiamento, dal quale verrà alla luce il Minotauro.

La creatura partorita si rivela ben presto un pericolo data la sua naturale ferocia e il suo cibarsi di esseri umani; il re di Creta decide allora di imprigionarlo nel labirinto di Cnosso, costruito da Dedalo. Quest’ultimo, insieme al figlio Icaro, una volta terminato il labirinto viene rinchiuso nella sua stessa opera da Minosse, per paura che possano fuggire dall’isola e rivelare i segreti del labirinto. Dedalo allora costruisce due potenti e grandi ali per sé e per il figlio e le attacca ai corpi con la cera. Entrambi fuggono così dal labirinto ma mentre il padre riesce ad arrivare in Sicilia, dove fonda il tempio dedicato a Febo Apollo, la sorte di Icaro è ben diversa: essendosi spinto troppo in alto (e quindi vicino al sole, nonostante gli avvertimenti del padre), la cera si fonde per il calore, Icaro perde le ali e precipita in mare, trovando la morte.

Il brano

Il testo di Ballata, ermetico e interpretabile in vari modi, indaga l’interiorità del protagonista, quell’Icaro a cui tutti – chi più chi meno – ci siamo indirizzati durante la ricerca di libertà adolescenziale, per sfuggire alla noia, alla routine e agli obblighi di una vita priva di emozioni, vissuta in deprimente solitudine, che fa sentire inermi e sempre più piccoli.

E allora il desiderio più grande è quello di trovare entusiasmo e vitalità, colorando il nero dell’orizzonte interiore. E per coronare questo sogno si è pronti a tutto (venderò l’anima), anche affidarsi ciecamente a delle mere illusioni (le ali di cera) che concedono solo l’ebbrezza di un attimo di felicità salvo poi farci ripiombare nell’oblio, subendo peraltro gli sbeffeggi del mondo esterno (ridono di me, delle mie ali di cera).

Inutile sottolineare che Ballata è un altro pezzaccio, di non immediata comprensione e che necessita di vari ascolti per essere apprezzato fino al fondo.

13. Gira nel mio cerchio

Dopo il break di Ballata, riprendiamo subito l’onda punk di 17 Re. Insieme a Resta, Gira nel mio cerchio è infatti uno dei brani più energici e dalla forte connotazione punk e dell’album. Il brano si presta a una più semplice comprensione rispetto al precedente e si incentra sull’abuso di alcol e sugli effetti prodotti sul corpo umano.

Gira nel mio cerchio espone con successo il delirio derivante dall’abuso d’alcol che rende offuscata e traviata la percezione di sé e dell’ambiente circostante, arrivando a provocare effetti sul corpo – “sul corpo macchie blu” – e sulla mente.

Picchia un po’ più forte, urla più che puoi
Prende fuoco la città
Gradazione d’alcool mi distrugge un po’
E non so che cosa fare quando finirà, quando finirà!

14. Cane

Traccia ispirata al romanzo di Michail Bulgakov, Cuore di Cane, la 14° traccia dell’album – Cane – attinge, oltre che dal romanzo, dalla cultura russa e dall’amore di Pelù per la stessa.

“Nel 1985 mi facevo chiamare Piotro degli Urali, perchè ero appassionato di letteratura, musica e di cinema russi, oltre che per la presenza nel mio quartiere di una chiesa ortodossa davanti alla quale giocavo spesso a calcio con i compagni di scorribande”5.

Rispetto al romanzo, incentrato sulla metamorfosi di un cane in un uomo e in cui è forte l’analogia con la metamorfosi che, nel 1925, stava attraversando la nuova Unione Sovietica, il brano evoca un sentimento di incertezza che pervade la vita di un ventenne alla ricerca di sé stesso e del suo futuro attraverso le strade alternative del nuovo rock.

15. Oro Nero

“Canzoni della nostra discografia come Istanbul, Oro nero o Il vento possono descrivere bene il nostro disagio quando assistiamo a scene come quelle che si vedono nei tg. La violenza che una volta colpiva la nostra fantasia adesso è cresciuta ed è reale.”6

Basterebbe questo stralcio di intervista a indicare quanto questo brano sia importante nell’album 17 Re e nella carriera dei Litfiba. Oro Nero è infatti uno dei brani più importanti a livello di contenuti, non tanto per la bellezza del brano in sé. Rappresenta la netta e ferma opposizione alla guerra, e alle violenze perpetrate in nome dell’accumulazione di petrolio e quindi di capitale. Non ci vuole un genio per capire l’associazione tra interessi economici, risorse prime, materie energetiche, manodopera e produzione alimentare a basso costo.

Come in molte altre canzoni del primo repertorio è evidente il riferimento all’Oriente sia nel testo che nella melodia a chiare tinte etniche. Il testo si impregna di immagini metaforiche molto forti: eserciti di diverse razze e religioni (leoni contro iene, Jerusalem contro Istanbul) si fanno la guerra in nome di quell’oro nero senza fine, che sporca tutto, alza muri tra le etnie e diventa causa di vendette e spargimenti di sangue (pietra nera di vendetta). La vita umana perde di valore tanto che il sangue che scorre copioso serve solo a pulire. A farne le spese è, come sempre, la popolazione inerme che può solo pregare e sperare che quel fiume nero ci porti via da qui7.

16. Ferito

La traccia che chiude 17 Re dei Litfiba, Ferito, è un pezzo dove emerge la grande sperimentazione sonora di quel periodo, come meglio non si potrebbe. Il brano si caratterizza da un’intensa emotività, esplicitata dal testo, di forte impatto e non così ambiguo come altre tracce dell’album. In questo, Ferito è forse già proiettato verso i successivi periodi della lunga carriera dei Litfiba, rispetto alle altre tracce di 17 Re. Come abbiamo avuto modo di vedere, 17 Re si pone in continuità con il precedente Desaparecido, salvo attutire, qua e là, il forte carattere ermetico di difficile interpretazione del precedente lavoro.

Uno dei testi che – per chi scrive – risulta essere uno dei più pregni di significati sottintesi, per il quale ogni ascolto aggiunge elementi che arricchiscono il senso complessivo del brano. Per capire meglio di cosa stiamo parlando, ecco il testo:

“Grande capo bianco dice che noi siamo forti
Noi siamo pronti per attaccare
Grande capo bianco vuole carne da cannone
E che sia bello morire insieme
Yeah!
Grande capo bianco dice che noi siamo forti
Per attaccare
Sono ferito
Ferito
Sono ferito”

Arrivo a destinazione

Siamo giunti anche stavolta alla fine di questo viaggio che, passando per Firenze, ci ha permesso di approfondire uno degli album più belli della storia del rock italiano, ingiustamente taciuto e messo in soffitta dopo gli anni 2000, in favore di artisti che, usciti da Amici, o da X Factor, o da tutte ste boiate, non hanno assolutamente nulla da comunicare, ma vendono a palate, riempiono i palazzetti e le radio, vengono presi a modello da più generazioni e contribuiscono ad abbassare considerevolmente la varietà artistica, omologando il tutto ai prodotti che vanno per la maggiore, il “poppettino” stupido e senza senza o direttamente la Trap. Aiuto.

Se anche a voi è venuta una voglia matta di ascoltare 17 Re tutto d’un fiato, insieme alle altre perle della Trilogia del Potere, vi basta accedere alla nostra playlist, che trovate di seguito.

Il resto è un grazie che vi facciamo di cuore, per essere giunti fin qui insieme a noi, per avere apprezzato questa primizia musicale e per continuare a seguirci nelle nostre prossime avventure musicali, turistiche e alcoliche.

Ciao a tutti, Ragazzacci!

Scorpione che si suicida nel deserto sotto un'esplosione nucleare
Nel silenzio di un deserto irreale, uno scorpione si punge da solo mentre alle sue spalle esplode una bomba atomica: un’immagine simbolo della disperazione e del rifiuto, in perfetta sintonia con “17 Re” dei Litfiba.

  1. Disastro di Černobyl’, Wikipedia ↩︎
  2. ’17 Re’ dei Litfiba, il leggendario lp ha 30 anni: “Ma ogni disco è stato una storia indelebile”, la Repubblica ↩︎
  3. I Litfiba di quando erano i Litfiba ↩︎
  4. Litfiba – Eroi nel tempo, sentireascoltare.com ↩︎
  5. Io, Piero-Piotre-Pallinov e il cuore rock di Bulgakov ↩︎
  6. I Litfiba in Hangout con La Stampa ↩︎
  7. Sulla canzone… ↩︎

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